Ricorso  della  regione  Emilia-Romagna,  in persona del presidente
 della Giunta regionale pro-tempore Pierluigi Bersani, autorizzato con
 deliberazione della Giunta regionale n.  202  del  31  gennaio  1995,
 rappresentata  e  difesa,  come  da  mandato  rogato dal notaio dott.
 Claudio Viapiana di Bologna, atto n. 12736 di  rep.  del  1  febbraio
 1995, dall'avv. Giandomenico Falcon di Padova e dall'avv. Luigi Manzi
 di  Roma, con domicilio eletto in Roma presso l'avv. Luigi Manzi, via
 Confalonieri 5, contro il Presidente del Consiglio dei Ministri,  per
 la  dichiarazione di illegittimita' costituzionale dell'art. 7, primo
 e secondo comma, del decreto-legge 7  gennaio  1995,  n.  1,  recante
 "Disciplina  operativa  concernente  partecipazioni  e  proventi  del
 Tesoro, nonche' sugli organismi e  procedure  attinenti  ai  mercati,
 alla tesoreria e all'EAGAT" (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 5
 del  7 gennaio 1995), in quanto, in violazione degli artt. 117 e 118,
 primo comma, anche in relazione all'art.  32  e  all'art.  97,  primo
 comma,  della  Costituzione, nonche' in violazione dell'art. 77 e 72,
 secondo  comma,  della  Costituzione  dispone  la  dismissione  delle
 aziende termali facenti parte del servizio sanitario nazionale e gia'
 in corso di trasferimento alle regioni ed agli enti locali.
                               F A T T O
    In  base agli artt. 117 e 118, primo comma, della Costituzione, la
 regione e' titolare delle funzioni legislative ed  amministrative  in
 materia   di  assistenza  sanitaria.  Di  essa  fa  parte  integrante
 l'assistenza mediante il "termalismo terapeutico".  Infatti,  secondo
 l'art.  36  della legge n. 833 del 1978, "le prestazioni idrotermali,
 limitate al solo aspetto terapeutico, da erogarsi presso gli appositi
 presidi di servizi  di  cui  al  presente  articolo,  nonche'  presso
 aziende  termali  di  enti  pubblici e privati, riconosciute ai sensi
 dell'art. 6, lett. t), e convenzionate ai  sensi  dell'art.  44  sono
 garantite  nei  limiti  previsti dal piano sanitario nazionale di cui
 all'art. 53 e nelle forme  stabilite  con  le  modalita'  di  cui  al
 secondo comma dell'art. 3" della stessa legge.
    Lo  stesso  art.  36,  dopo  aver disposto che "la legge regionale
 promuove  la  integrazione  e  la  qualificazione   sanitaria   degli
 stabilimenti  termali  pubblici,  in  particolare  nel  settore della
 riabilitazione, e  favorisce  altresi'  la  valorizzazione  sotto  il
 profilo  sanitario  delle  altre  aziende  termali"  (secondo comma),
 stabiliva che "le aziende termali gia' facenti capo all'EAGAT  e  che
 saranno  assegnate  alle  regioni,  per l'ulteriore destinazione agli
 enti locali, in base alla procedura prevista dall'art. 113 del d.P.R.
 24 luglio 1977, n.  616,  e  dall'art.  1-quinquies  della  legge  21
 ottobre  1978,  n. 641, sono dichiarate presidi e servizi multizonali
 delle unita'  sanitarie  locali  nel  cui  territorio  sono  ubicate"
 (attuale terzo comma).
    Converra'  ricordare  che, in effetti, il decreto-legge n. 481 del
 18 agosto 1978 (conv. nella legge n. 641 del 1978), aveva  provveduto
 alla  soppressione  dell'EAGAT (secondo quanto disposto dall'art. 113
 del d.P.R. n. 616/1977),  e  aveva  disposto  che  le  partecipazioni
 azionarie  delle  societa'  inquadrate  nello  stesso  EAGAT  fossero
 assegnati   all'Ente   partecipazioni   e   finanziamento   industria
 manifatturiera  - EFIM e collocati dall'EFIM in una speciale gestione
 priva di personalita'  giuridica,  contabilmente  e  finanziariamente
 separata.
    L'EFIM  avrebbe poi provveduto, nei modi e nei termini previsti da
 apposito provvedimento legislativo, oltre che (  a)  al  ripianamento
 delle  perdite  e  al  risanamento delle gestioni delle societa' gia'
 facenti capo all'EAGAT  e  (  b)  all'inquadramento  nell'EFIM  delle
 societa'  o  stabilimenti di imbottigliamento di acque minerali, al (
 c) "trasferimento alle regioni delle attivita', patrimoni, pertinenze
 e personale delle aziende termali, ivi  comprese  le  attivita'  e  i
 patrimoni  alberghieri, per l'ulteriore destinazione agli enti locali
 nei tempi e nei modi previsti dalla legge di riforma sanitaria".
    In sintesi, il quadro della legislazione ordinaria attuativa degli
 artt. 117  e  118  della  Costituzione  in  relazione  all'assistenza
 sanitaria e' univoco nel caratterizzare l'assistenza termale come uno
 dei  settori  prestazionali  del  servizio sanitario nazionale, e nel
 caratterizzare le strutture  termali  di  proprieta'  pubblica  (  ex
 EAGAT) come strutture di servizio del SSN, e come tali di pertinenza,
 in  primo luogo, delle regioni. Solo transitoriamente era previsto un
 periodo di gestione EFIM, che fu anch'esso in seguito  soppresso  nel
 1992.
    In  contrasto con tale disegno il Governo ha tuttavia ritenuto una
 prima volta di provvedere con il decreto-legge 7 settembre  1994,  n.
 528,  recante  (come  quello  successivo  qui  impugnato) "Disciplina
 operativa concernente partecipazioni e proventi del  Tesoro,  nonche'
 sugli  organismi  e  procedure attinenti ai mercati, alla tesoreria e
 all'EAGAT": il cui art. 8  disponeva  che  il  comitato  liquidazione
 EAGAT  consegnasse  "le  attivita'  esistenti, i libri contabili, gli
 inventari ed  il  rendiconto  con  gli  allegati  analitici  relativi
 all'intera gestione al Ministro del tesoro - Ispettorato generale per
 gli  affari  e  per la gestione del patrimonio degli enti disciolti",
 primo  comma  e  che  "ai  fini  della  migliore  valorizzazione  del
 patrimonio  dell'  ex EAGAT", l'Ispettorato generale per gli affari e
 per  la  gestione  del  patrimonio  degli  enti   disciolti   potesse
 "avvalersi  delle  disposizioni  in  materia  di  accelerazione delle
 procedure di dismissione delle partecipazioni possedute  direttamente
 dallo  Stato,  previste  dal  decreto-legge  31  maggio 1994, n. 332,
 convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 1994, n.    474,
 anche con le modalita' di cui all'art. 4 della legge 4 dicembre 1956,
 n. 1404".
    La   regione  Emilia-Romagna  ricorreva  a  codesta  ecc.ma  Corte
 costituzionale  contro  tali  disposizioni,  ritenendo  che,  pur  in
 assenza  di  una  formale  negazione  del  "diritto  delle regioni al
 successivo trasferimento", il generale riferimento alle procedure  di
 dismissioni   previste  dal  decreto-legge  n.  332  del  1994  e  il
 riferimento alle "modalita' di cui all'art. 4 della legge 4  dicembre
 1956,  n.  1404"  (eventuale  nomina  di  un commissario liquidatore)
 inducessero piuttosto a pensare ad una alienazione a privati di  tali
 partecipazioni.  Ne  risultava  che le aziende termali pubbliche, ivi
 comprese quelle aventi sede ed operanti nella regione  Emilia-Romagna
 (si   pensi   in   particolare   alle  aziende  di  Castrocaro  e  di
 Salsomaggiore), sarebbero state alienate e liquidate sul mercato, con
 una   destinazione   assolutamente   incompatibile   con   la    loro
 qualificazione   di   presidi  e  strutture  del  servizio  sanitario
 nazionale, e con il passaggio delle loro attivita' alle regioni.
    Peraltro, il decreto-legge 7 settembre 1994, n. 528, non e'  stato
 convertito  in  legge. Non solo, ma durante i lavori parlamentari per
 l'eventuale (poi mancata) conversione, proprio l'art.  8,  contestato
 dalla  ricorrente,  regione,  e'  stato espressamente soppresso dalla
 Commissione bilancio della Camera, che riteneva invece che non ci  si
 dovesse  allontanare  dal criterio della destinazione alle regioni ed
 agli enti locali, secondo  modalita'  da  stabilire  nella  legge  di
 ritorma del settore.
    Inopinatamente e contro ogni regola implicita ed esplicita in tema
 di rapporti tra decretazione governativa e Parlamento, il Governo ha,
 subito  dopo  la  scadenza,  reiterato  i  contenuti  del precedente,
 compresi quelli gia'  contestati  dalla  ricorrente  regione  e  gia'
 bocciati  dalla  Camera  dei  deputati,  tornando  ad  inserenire nel
 successivo decreto-legge n. 617 del 1994  (all'art.  7)  disposizioni
 secondo  le  quali  da  una  parte  le partecipazioni azionarie, gia'
 appartenenti al soppresso Ente autonomo gestione  aziende  termali  -
 EAGAT,   sarebbero  state  trasferite  "al  Ministero  del  tesoro  -
 Direzione generale del tesoro" (primo comma),  dall'altra  lo  stesso
 Ministero    avrebbe    provveduto   alla   "dismissione"   di   tali
 partecipazioni, avvalendosi delle procedure di privatizzazione.
    Anche tale decreto-legge, (anch'esso  impugnato  dalla  ricorrente
 regione),  rimaneva non convertito. Ma il Governo, pur dimissionario,
 provvedeva ad una nuova reiterazione con il decreto-legge  7  gennaio
 1995,  n.  1,  qui  impugnato,  e  di  nuovo inseriva le disposizioni
 contestate (e gia' rifiutate  in  sede  parlamentare),  con  la  sola
 precisazione  che  alla  dismissione  si  provvedera'  "sulla base di
 criteri di valorizzazione delle finalita' istituzionali delle aziende
 interessate, tenuto conto dell'importanza delle stesse per l'economia
 generale, nonche'  degli  interessi  turistici  e  locali"  (art.  7,
 secondo comma).
    Ma  la sottrazione delle aziende termali alla loro destinazione al
 servizio della regione e del servizio sanitario nazionale  che  cosi'
 si   determina  viola  gli  artt.  117  e  118,  primo  comma,  della
 Costituzione, anche in relazione all'art. 32  e  all'art.  97,  primo
 comma, ed e' inoltre assunta in difetto dei requisiti di necessita' e
 di   urgenza   di   cui  all'art.  77  e  72,  secondo  comma,  della
 Costituzione,  risultando  costituzionalmente  illegittima,  per   le
 seguenti ragioni di
                             D I R I T T O
    L'impugnato decreto-legge n. 1 del 1995 (come gia' i precedenti n.
 617  del  1994  e  n.  528 del 1994) in pratica dispone delle aziende
 termali ex EAGAT, qualificate quali strutture del Servizio  sanitario
 nazionale,  funzionali  alle  prestazioni  di  assistenza  termale  e
 destinate ad essere trasferite  alle  regioni,  totalmente  ignorando
 tale  loro destinazione, e facendone invece beni puramente economici,
 da "monetizzare" attraverso l'alienazione al miglior offerente.
    Di  piu',  cio'  avviene  senza  minimamente  preoccuparsi   della
 continuita'  del servizio pubblico reso da tali aziende, e della loro
 stessa natura di aziende e strutture termali. Non e' neppure disposta
 nessuna delle cautele che l'art. 2 del decreto-legge n. 332 del  1994
 (conv.   in   legge   n.  474/1994),  di  disciplina  generale  delle
 dismissioni, prevede per le societa' a  partecipazione  pubblica  che
 gestiscono  servizi pubblici, sotto la forma dei "poteri speciali" da
 assicurarsi  alla  mano  pubblica  (quali   la   nomina   di   alcuni
 amministratori  e  sindaci,  il  veto  all'adozione delle delibere di
 scioglimento  della  societa',  di  trasferimento  dell'azienda,   di
 fusione,   di   scissione,   di   trasferimento  della  sede  sociale
 all'estero, di cambiamento dell'oggetto sociale,  di  modifica  dello
 statuto, ecc.).
    Ne'  d'altronde  e' disposto che parte almeno della partecipazione
 azionaria vada  riservata  alle  Regioni  ed  alle  comunita'  locali
 (mentre   la   legge   30  dicembre  1991,  n.  412,  concernente  la
 trasformazione in societa' per azioni degli stabilimenti appartenenti
 all'INPS, dispone la partecipazione, a titolo gratuito, della regione
 e del comune nel cui territorio e' ubicato lo stabilimento termale).
    Tutto si riduce alla  semplice  dismissione  mediante  alienazione
 delle  aziende,  alla  conseguente  dispersione delle risorse termali
 oggi  disponibili  per  le  comunita'  locali  e  per  la   comunita'
 nazionale,  alla  sottrazione  alle  regioni ed alle comunita' locali
 delle risorse destinate all'esercizio delle loro funzioni.
    Ne' cio' e' nella sostanza contraddetto dalla precisazione (che il
 presente  decreto-legge  aggiunge  rispetto  a  quanto  disponeva  il
 precedente)  che  alla  dismissione  si  provvedera'  "sulla  base di
 criteri di valorizzazione delle finalita' istituzionali delle aziende
 interessate, tenuto conto dell'importanza delle stesse per l'economia
 generale, nonche'  degli  interessi  turistici  e  locali"  (art.  7,
 secondo comma).
    In  questa  precisazione si puo' riscontrare forse una pallida eco
 delle ragioni affermate dalla ricorrente regione: ma in realta'  essa
 non  assicura  in  nessun  modo  il  permanere  delle aziende termali
 nell'ambito delle risorse a disposizione della  comunita',  permanere
 che e' contrastante con l'idea stessa della "dismissione".
    La   ricorrente   regione  non  intende  negare  la  potesta'  del
 legislatore di trovare di volta in volta  il  migliore  bilanciamento
 tra i diversi valori costituzionali coinvolti nelle possibili scelte,
 e nello specifico il potere del legislatore di trovare le piu' giuste
 ed  equilibrate modalita' atte ad assicurare la titolarita' regionale
 delle funzioni e delle attivita' di assistenza  termale,  l'interesse
 delle  comunita'  locali ad una adeguata presenza in aziende cruciali
 per il loro sviluppo economico e territoriale, l'interesse statale ad
 una utilizzazione economica delle aziende o di parte di esse.
    Cio'  che  non  puo'  in nessun modo giustificarsi invece e' che i
 valori predetti e costituzionalmente tutelati  vengano  semplicemente
 sacrificati di fronte all'esclusivo interesse dello Stato a procurare
 liquidita' monetarie.
    Si   vuol   dire  che  da  sempre  le  aziende  termali  pubbliche
 costituiscono una  parte  delle  risorse  sanitarie  della  comunita'
 nazionale  e  delle  comunita'  regionali e locali interessate, e che
 tale destinazione e' chiaramente consacrata dalle  norme  legislative
 tuttora  vigenti, quali l'art. 36 sopra citato della legge di riforma
 sanitaria.
    Cio' d'altronde e' stato espressamente  sancito  da  codesta  ecc.
 Corte  costituzionale quando ha ritenuto, di fronte alla provincia di
 Bolzano che contestava la destinazione finale delle strutture termali
 ai  comuni,  che  tale  devoluzione  "non  preclude   alla   medesima
 "Provincia"   l'esercizio   delle   sue   potesta'   legislative   ed
 amministrative in materia, ma al piu' pone  alle  dette  potesta'  il
 solo limite - da ritenere essenziale alla realizzazione delle riforma
 economico-sociale  sanitaria  -  della  destinazione del bene termale
 alla tutela della salute" (sent. 12 maggio 1988, n. 532, punto  4  in
 diritto).
    La  disciplina  qui  contestata  invece da una parte sopprime tale
 necessaria "essenziale" destinazione del bene  termale  alla  salute,
 dall'altra,   portando  le  strutture  termali  in  ambito  puramente
 privato, preclude alle regioni l'esercizio delle potesta' legislative
 ed  amministrative  che  le  riguardano,  in  pratica   sopprimendone
 l'oggetto.
    Sembra  dunque  chiara  non  solo la lesivita' ma l'illegittimita'
 costituzionale  di  una  disciplina  che,  senza  alcun  disegno   di
 riorganizzazione  dei  servizi,  irrazionalmente  ed  arbitrariamente
 sottrae risorse essenziali del servizio sanitario e  delle  comunita'
 locali,  riducendone  il  significato al solo valore economico per lo
 Stato, in assenza  di  qualunque  equilibrio  e  bilanciamento  degli
 interessi  e  dei  valori  costituzionalmente  protetti, senza alcuna
 garanzia di tutela degli interessi pubblici del settore.
    Come detto in premessa, la disposizione qui impugnata  corrisponde
 nella  sostanza  all'art.  8  del precedente decreto-legge n. 528 del
 1994: articolo che  era  stato  espressamente  soppresso  durante  il
 procedimento di conversione (poi non ultimato).
    Ora,   anche   nell'ambito   di   una   prassi  costituzionale  di
 "reiterazione" dei decreti-legge non convertiti che gia' di  per  se'
 e'   problematica,   sulla   quale   anche   codesta   ecc.ma   Corte
 costituzionale ha mostrato qualche riserva (ad esempio nella sent. n.
 302 del 1988), non si puo' non rilevare che il Governo non puo' certo
 non tenere conto di quanto deciso dal Parlamento, titolare  effettivo
 della funzione legislativa.
    Ed infatti, come ricorda gia' Crisafulli, e' frequente il fenomeno
 della   reiterazione   di   decreti   "parzialmente   modificati   in
 accoglimento  di  emendamenti  gia'  apportati  nel  corso  dell'iter
 parlamentare    rimasto   poi   interrotto"   (Lezioni   di   diritto
 costituzionale, Padova 1984, II, p. 88).
    D'altronde,   della  determinata  rilevanza  delle  determinazioni
 parlamentari e' chiara affermazione la legge  n.  400  del  1988,  di
 diretta  attuazione  della  disciplina costituzionale, nella parte in
 cui, tra l'altro, interdice al Governo la facolta' di  "rinnovare  le
 disposizioni   di   decreti-legge  dei  quali  sia  stata  negata  la
 conversione in legge con il voto di una delle due Camere"  (art.  15,
 secondo comma, lett. c).
    Non   sembra   dubbio,   pertanto,  che  la  riproduzione  di  una
 disposizione espressamente soppressa da una delle  Camere  configura,
 quanto  meno,  una  grave  violazione  delle  regole  di  correttezza
 costituzionale nei rapporti tra Parlamento e Governo.
    Infine, una specifica contestazione deve rivolgersi al ricorso  da
 parte  del  Governo allo strumento del decreto-legge per disciplinare
 in modo parziale e frammentario una materia, quale quella del destino
 delle Aziende  termali  pubbliche,  sulla  quale  il  legislatore  ha
 promesso ed ha in corso una riforma organica, nel cui ambito potranno
 essere  con ponderazione valutati i diversi elementi del problema. In
 particolare, poi, e' evidente che, qualunque sia  la  disciplina,  il
 processo   di  attuazione  richiedera'  comunque  un  lungo  periodo,
 misurabile in mesi se non in anni.
    In  questo  contesto,  sembra  evidente  che  non  esiste   alcuna
 "straordinaria  necessita'  ed urgenza", nel senso costituzionale del
 termine, di stabilire che le Aziende termali dovranno  essere  cedute
 ai  privati,  impegnando  in  questa  direzione  una procedura che la
 Costituzione ha voluto straordinaria, quale quella del decreto-legge,
 seguito   dalla   peculiare   procedura   di   conversione   anziche'
 dall'ordinario procedimento legislativo.
    E'  chiaro  infatti che dallo stesso punto di vista del Governo il
 problema non era e non poteva essere quello di avere una disposizione
 da applicare immediatamente, per far fronte  ad  una  situazione  che
 richiede   immediato   intervento  (secondo  la  logica  propria  del
 decreto-legge), ma in luogo di cio' la generica "urgenza" di arrivare
 in tempi possibilmente rapidi ad una  definizione  legislativa  della
 materia.
    In   altre   parole,   in   casi  come  questo  lo  strumento  del
 decreto-legge  e'  palesemente  utilizzato  come  surrogato  di   una
 procedura   legislativa  abbreviata.  Sembra  cioe'  sufficientemente
 chiaro che ci si trova, piuttosto che in una ipotesi  di  ragionevole
 applicazione  dell'art.  77  Cost.,  in  una  ipotesi di applicazione
 dell'art. 72, secondo  comma,  della  Cost.,  secondo  il  quale  "il
 regolamento stabilisce procedimenti abbreviati per i disegni di legge
 dei quali e' dichiarata l'urgenza".
    Dal  confronto  tra  le  due  disposizioni  costituzionali  emerge
 evidente il disegno di distinguere quegli straordinari  casi  in  cui
 all'urgenza   si   associa   una   reale   necessita'  di  provvedere
 immediatamente (per i quali e'  consentito  il  decreto-legge)  dagli
 altri  di  "urgenza" della legislazione, per i quali va utilizzato lo
 strumento appropriato del procedimento abbreviato.
    Nei fatti, poi,  un  ulteriore  indizio  sintomatico,  se  non  un
 riscontro    totalmente    univoco,   del   difetto   dei   requisiti
 costituzionali sta nella stessa mancata  conversione  dei  due  primi
 decreti.  In  effetti,  il riscontro dei requisiti costituzionali non
 puo'  non  essere  finalizzato  anche  alla  evidente  necessita'  di
 contrastare  la  prassi  dei  decreti  "a  catena" (a volte dai molti
 anelli), attraverso i quali intere materie vengono di fatto rette per
 mesi  ed  a  volte  anni da atti mai convertiti e via via formalmente
 decaduti, creandosi (soprattutto nelle questioni organizzative,  come
 la  presente)  dei  veri  e  propri  fatti compiuti, che alla fine il
 legislatore si trova comunque costretto a ratificare.
    Si consideri, inoltre, che in Parlamento, durante le votazioni sul
 primo decreto, l'articolo in questione era  stato  addirittura  (come
 sopra illustrato) stralciato e soppresso, per rinviare ogni decisione
 alla riforma organica.
    Sembra  dunque  palese  il  difetto  dei requisiti costituzionali,
 difetto che non sarebbe sanabile neppure  dalla  eventuale  legge  di
 conversione, secondo la piu' recente giurisprudenza di codesta ecc.ma
 Corte costituzionale.
    Tutto  cio'  premesso,  la ricorrente regione Emilia-Romagna, come
 sopra rappresentata e difesa, chiede: